I 4 volontari in servizio civile 2019-2020 ci raccontano la loro esperienza come volontari presso A.P.E. onlus!
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Sin dal primo giorno, in cui ho visto i ragazzini tutti felici di stare insieme, ho capito che questo era un luogo in cui ci stavano bene, un posto in cui venivano capiti e ascoltate le loro emozioni, ho sentito immediatamente che mi sarei affezionato a ciascuno di loro, e non li avrei più dimenticati.
Fin da subito, il mio rapporto con loro e i colleghi è stato di una speciale armonia, chi giocava a basket, chi a calcio, chi si dilettava nel ping pong, e chi al gioco degli scacchi.
Che buffo era, dopo qualche settimana dall’inizio, subito ci ritrovammo a parlare con i genitori dei ragazzi, che buffo vedermi nei panni di chi deve “educare” e parlare del comportamento dei loro figli, io che da piccolo sono sempre stato un ribelle, un avverso alle regole, era arrivato il momento di mascherarmi da “saggio”.
Avevo sognato da tanto di poter svolgere un simile lavoro, stare con i ragazzi più piccoli, giungerli fino al cuore, per ascoltare i loro disagi, i loro sentimenti, le loro insicurezze e riuscire ad aiutarli, costretto talvolta anche a ripercorrere il mio passato per poter trovare qualche analogia, per essere loro veramente di aiuto. Chi alla loro età non ne aveva bisogno?
Forse ho puntato tanto di più sul dialogo personale per conoscere le loro vite, che svolgere un compito didattico, ma la mia natura è il mio istinto erano troppo forti, dovevo prima accedere al loro spirito, per sentirmi veramente di aiuto e un sostegno morale, si vedeva che per tutti loro questo era fondamentale. Seppur a volte tra di loro si scatenavano dei litigi, e ogni tanto finivano alle mani, sono sicuro che se a qualcuno di loro succedesse qualcosa, tutti quanti sarebbero in prima fila ad aiutarsi l’un l’altro.
Con molti ho avuto successo, con altri mi sarebbe servito probabilmente più tempo per poterli capire fino in fondo come avrei voluto. Nel bene e nel male, uscire di casa e andare a passare una giornata con loro, davanti al colle di san Luca, in mezzo ai loro giochi, le loro voci, i loro discorsi, e i loro amori, è stato un momento della vita, tra i più dolci vissuti.
Purtroppo oggi ci siamo ritrovati in una situazione in cui non è stato possibile proseguire in questa avventura, oramai l’anno è perduto, ma i loro nomi, le loro storie e le loro anime resteranno per sempre al fianco delle nostre.
E il sol pensiero di questi momenti, sarà la gioia dei miei giorni…
Andrea M. – volontario SCR 2019-2020
Descrivere la mia esperienza di servizio civile non è affatto semplice, per riuscire a condensare le intense emozioni e le esperienze quotidiane vissute servirebbe un maestro della sintesi o qualcuno sicuramente più esperto di me nell’arte della scrittura. Per quel che mi riguarda, una delle parole che potrebbe concatenare il tutto potrebbe essere questa: sorpresa.
Quando un anno fa inviai domanda per attivarmi con il servizio civile lo feci, non ho vergogna a dirlo, senza alcuna consapevolezza rispetto a quello verso cui sarei andato incontro; lo feci con leggerezza, con la voglia di fare esperienze utili nel mondo del lavoro e poi, (perché no?) poter anche essere utile alla comunità. Quest’ultimo, in particolare, era un aspetto che, pur presente, mi risultava quasi “secondario”. Era un caldo pomeriggio quando osservai per la prima volta l’elenco dei progetti che il servizio civile regionale ci proponeva, notai subito che erano più o meno tutti indirizzati al settore educativo. Non avevo alcuna esperienza in quel campo e la mia laurea in Giurisprudenza poteva soccorrermi ben poco. Decisi comunque di tuffarmi e provare a mettermi in qualche modo alla prova. Mi preparai al colloquio e tentai di sforzarmi di raccogliere qualche idea utile per risultare in qualche modo “attraente” a fronte dell’assoluto foglio bianco che il mio curriculum mostrava. Incredibilmente, poche settimane dopo, mentre gustavo della cucina giapponese con un’amica ricevetti una telefonata: “Ciao Andrea, ti avremmo scelto per il nostro progetto di Servizio Civile, se sei ancora disposto…” pausa… un milione di domande del tipo “ma siete sicuri voi?” affiorarono nella mia mente. “Si, ovviamente sono accetto, prontissimo” mentivo almeno sull’ultima parola, ma ebbe tutto inizio così.
Descrivere i mesi che ne sono seguiti non è affatto facile. In primo luogo, dopo la breve formazione, le prime sensazioni che provai furono di una leggera paura ma anche di una grande carica. In questo mi è stato molto d’aiuto la conoscenza con i miei futuri “colleghi” e con tutto lo Staff dell’APE. Per molti il luogo ed i colleghi di lavoro sono molto importanti ed io sono uno di quelli, onestamente non potevo sperare in nulla di meglio. Sia gli altri ragazzi in servizio civile che lo staff permanente dell’APE si sono rivelate delle persone stupende, non solo autentiche ma anche impegnate con tutte loro stessi nel mestiere che fanno. Si tratta di un impegno che è impossibile fare con leggerezza, ogni vicenda quotidiana porta con se un grande carico positivo ma anche un grande peso da portare e, credetemi sulla parola, Pia, Elisa, Giulia e Concetta non si limitano a lavorare, si tuffano a capofitto per poter dare il meglio ai ragazzi e lasciare un segno nella loro vita.
E poi ci sono loro…i ragazzi. Quelli per il quale ogni educatore si impegna a migliorarne il rendimento scolastico. Giorno per giorno mi sono accorto che è molto più di questo. Qualsiasi avvenimento, da quelli più piacevoli a quelli meno piacevoli, da un semplice esercizio di grammatica ad una partita di calcio, contribuiscono a renderlo qualcosa di molto più importante. Inavvertitamente per me è stato così, mi sono reso conto di quanto in ogni semplice regola, in ogni barzelletta, in ogni risata e anche in ogni richiamo, si lascia il segno nella vita dei ragazzi e loro lo lasciano nella tua. E allora si affrontano anche le giornate difficili e quando, con un po’ di impegno, riesci a raccogliere il loro entusiasmo o nel piccolo a contribuire ad un buon risultato, per il quale vedi nei loro occhi un sano e grandissimo orgoglio, allora non è possibile ritornare a casa dopo lavoro senza sentire la sensazione di aver fatto qualcosa di veramente buono.
La mia esperienza di servizio civile non si è ancora conclusa, nonostante le difficoltà di questo periodo si cerca di darla in barba al Covid-19 e di aiutare i ragazzi da remoto nel migliore dei modi. Non so quali saranno le sfide di domani per l’APE, al quale spero nel mio piccolo di contribuire, so che se lo avessi saputo un anno fa a cosa andavo incontro: non avrei esitato neanche per un istante. Il mio servizio civile è stato finora questo: un’esperienza che spero di portarmi dietro, sia umanamente che professionalmente, in qualsiasi impiego o sfida di ogni giorno.
Andrea P. – volontario scr 2019-2020
Ape onlus è un’associazione, nata da un progetto parrocchiale, che consiste in un doposcuola per ragazzi del quartiere Barca, frequentanti le scuole medie, e offre uno spazio giochi, una mensa e l’aiuto ai compiti.
Riguardo all’Ape, innanzitutto vorrei dire che come ambiente lavorativo è ottimo sotto certi punti di vista: i dipendenti, responsabili e collaboratori dell’associazione dimostrano tutti una grande professionalità, competenza, disponibilità e simpatia. Gli spazi dell’associazione sono, per la maggior parte, sufficienti: le strutture contano un cortile con porte da calcio e un canestro, una saletta interrata con biliardino e tavoli da ping-pong, una palestra, un ampio refettorio. Le aule studio, purtroppo, a causa di una ristrutturazione, si sono rivelate un po’ inadeguate per mancanza di spazio.
Ma la parte principale dell’esperienza all’Ape è, essendo un doposcuola, il lavoro di assistenza verso i ragazzi delle scuole medie.
Su questo argomento devo dire che, nel bene o nel male, è impossibile annoiarsi: c’è sempre da fare, e la prima qualità che ho sentito di dover sviluppare al riguardo è sicuramente stata la pazienza. Mi hanno fatto subito ricordare quanto fragili, soprattutto emotivamente, siano i ragazzi dai 10 a 13 anni di età, cui, se non ci hanno già pensato le ore di scuola giornaliere, basta un litigio o un rimprovero per perdere completamente il buon umore. Mi hanno anche fatto scoprire la loro straordinaria capacità di recupero, o quanto meno di dimenticare, ed è sorprendente vedere che ogni astio, se non proprio subito accantonato, non sopravvive a una buona notte di sonno. I ragazzi, messi di fronte ai compiti e come già un po mi aspettavo, presentano vari comportamenti diversi: dai più bravi, che si applicano e sfogliano persino qualche libro prima di chiedere aiuto, ai meno, che fanno finta o proprio si rifiutano di farli. In classe, visto anche la sopracitata mancanza di spazio, la maggior parte delle volte non c’è un attimo di tranquillità e di silenzio, e ogni scusa è buona per distrarsi e giocare, in più di un’occasione anche in maniera manesca. È quindi necessario richiamare continuamente l’attenzione sui compiti, spesso occupando tempo prezioso che sarebbe servito, per esempio, ad aiutare quell’unico studente che ha tutta la volontà di farli. Questi fattori, uniti all’inevitabile difficoltà di comunicazione tra adulti e studenti, rendono la tipica giornata all’Ape quantomeno stancante, ma, a fronte di tanti momenti passati per esempio a rimproverare o a calmare liti, ci sono anche occasioni di genuina soddisfazione: i vari legami che si formano con ogni singolo studente, magari ogni giorno quel particolare ragazzo ti chiede di fare una partita a pallone, oppure un altro, che stavi aiutando a fare i compiti, ti ringrazia e magari si scusa per qualche marachella compiuta.
In definitiva sono molto soddisfatto del tempo passato all’Ape, tutte le esperienze fatte e i bei momenti passati valgono sicuramente più della stanchezza e dello stress che inevitabilmente, giorno dopo giorno, tendono ad accumularsi.
Per quanto stia scrivendo, si potrebbe dire, a freddo, mi sento di consigliare il servizio civile all’Ape: sono venuto a contatto con un mondo, quello dell’educazione, che, come già detto, mi ha causato sì momenti di stress, ma anche di soddisfazione. Mi ha fatto rendere conto dell’atteggiamento generale che i più giovani hanno verso il mondo degli adulti, e mi ha ricordato quanto possa essere complicato il processo di crescita, in tutti i vari modi in cui ognuno individualmente decide di affrontarlo.
Giovanni M. – volontario scr 2019-2020
La parola ‘apertamente’, che ho scelto come titolo di questo breve racconto, racchiude in sé due dimensioni fondamentali che spero emergano da queste righe: l’A.P.E. è il luogo fisico, percettibile, palpabile, che ogni giorno si addensa di parole, emozioni, relazioni, contatti, incontri e scontri. Apertamente è la sua prospettiva, che non ha punti di fuga, ma solo punti di vista. Svariati e multiformi.
Una marea di sguardi: è stata la prima cosa da cui sono stata investita il mio primo giorno di servizio civile all’APE. Qualche ragazzo è arrivato annoiato, stanco, occupato a fare altro. Veniva direttamente da scuola, ed era intento a guardare il cellulare o a chiamare qualcuno. Forse si chiedeva chi fossero queste nuove facce che si prendevano già troppa confidenza. Il suo sguardo è stata una conquista, da rinnovare quasi quotidianamente. Sono arrivati anche sguardi mesti, persi in chissà quali pensieri. Ero un po’ imbarazzata, non sapevo bene quali cose dire o quali passi fare. Certo, eravamo stati istruiti sull’organizzazione della giornata, sulle regole da rispettare e da far rispettare, sulla divisione dei compiti. Ma non esiste un manuale per gestire gli sguardi – per non parlare delle domande scomode. Perché sono arrivati anche gli sguardi curiosi e spesso i ragazzi non conoscono le mezze misure. Paradossalmente prendere confidenza con loro non prevede stadi intermedi: è un’iniziazione senza sconti. È in quel momento che anche i più ritrosi ti vengono incontro. E la curiosità ha richiamato altra curiosità: si sono formati i primi capannelli intorno a noi ragazzi del servizio civile e sono scaturite le prime risa, i primi sguardi d’intesa. Qualche nodo si scioglie; basta gettare l’armatura che ti sei costruito addosso per cercare di conquistare la loro stima ed essere semplicemente te stesso. Così questo luogo rivela di avere un codice tutto suo, e diventa una sorta di sillabario delle emozioni, soprattutto per chi crede di conoscerle già, o di avere già qualche dimestichezza con loro. Poi cominciano a crearsi i primi nodi relazionali, e questi ragazzi ti stupiscono, perché registrano dettagli che per te sono superflui, o che non eri stato capace di notare. E piano piano, giorno dopo giorno, mentre i ragazzi ti regalano un pezzo di loro scopri che in realtà ti stanno regalando anche un pezzo di te. Ognuno di noi ha una cassetta in cui ripone i cellulari dei ragazzi, per evitare che li utilizzino durante le attività di gruppo e durante l’aiuto compiti; questa cassetta è diventata anche il mio portagioie personale: ho raccolto lì dentro tutto quello che i ragazzi mi hanno regalato – disegni, messaggi, poesie –, perché in qualche modo ho sempre avuto la sensazione che i loro regali raccontassero anche qualcosa di me. Ecco allora il senso che volevo dare dell’APE, quale luogo fisico in cui ogni giorno si concretizza un crogiolo di emozioni, sensazioni, incontri, che investono i ragazzi quanto gli educatori e noi volontari SCR.
Le giornate si sono susseguite freneticamente, quasi senza che me ne accorgessi. Sono arrivate una dopo l’altra, cadenzate da un timido sole primaverile, ben prima che la primavera sbocciasse. Il ritmo che hanno seguito le giornate è stato alterno, spesso incostante, ma sempre pieno. La cosa che mi ha colpito dell’APE è la sua inclinazione prospettica: tutto tende verso l’apertura, che non significa mera permissività, ma disposizione all’incontro con l’altro. La relazione con ragazzi di età diverse e dalla provenienza più disparata mi ha davvero entusiasmata, perché è stato un arricchimento continuo. Parlavo spesso con una ragazza delle tradizioni marocchine, e di quanto amassi la loro cerimonia del thè, per non parlare dei loro dolci; due giorni dopo questa stessa ragazza è arrivata al doposcuola con un fazzoletto di carta in cui aveva avvolto alcuni dolci della tradizione marocchina per farmeli assaggiare. Li aveva profumati con un aroma alla rosa ed erano buonissimi. Ecco l’apertura che si respira, anche nei confronti degli umori più disparati. Ogni ragazzo è un universo di vissuti, temperamenti, emozioni, che sono solo suoi, e l’APE è sicuramente un luogo in cui ognuno di loro è incoraggiato a mettersi in gioco con tutta la ricchezza che lo caratterizza – passando anche attraverso lo scontro, ma per giungere sempre ad un esito di incontro. Tutti i momenti convergono verso uno sforzo educativo che affonda le sue radici nell’apertura verso l’altro, nella comprensione dell’altro e delle sue peculiarità, e che tenta di trasmettere questa stessa apertura ai ragazzi. Io non posso che essere grata per questa esperienza, con tutte le difficoltà che comporta, perché ci sono anche giornate molto complesse, dove l’entusiasmo si trasforma in impotenza, e non sempre ci si sente adeguati. Una delle esperienze che più mi incentiva, nonostante sia una di quelle che presenta molte difficoltà a livello di gestione dei ragazzi, è proprio il momento dell’aiuto compiti, perché è quello in cui c’è un rapporto più personale con i ragazzi. Ognuno di loro ha le sue peculiarità, le sue esigenze e i suoi interessi, e trovo che rapportarsi a questa complessità sia un lavoro difficile ma al contempo davvero arricchente (con picchi che vanno dallo scoraggiamento al divertimento estremo – ebbene sì, ci sono anche momenti di grasse risate). Insomma, in questa esperienza diretta con i ragazzi del doposcuola non mancano di certo gli abbracci, gli scherzi, gli screzi, i pianti, le risa, la dolcezza e tutte quelle espressioni che vanno ad arricchire il nostro sillabario quotidiano delle emozioni. E tutto questo ci insegna, ancora una volta, che il rapporto più fecondo è quello interpersonale. È una grande fortuna che un luogo come questo ci permetta di sperimentare proprio tale prospettiva, e permetta a questi ragazzi di trovare un punto di riferimento che non si limita all’aiuto compiti o all’organizzazione delle loro attività (aspetti certamente fondamentali), ma che soprattutto accoglie e modella il caleidoscopio di sfumature che li caratterizza, dall’aspetto emotivo, a quello caratteriale, fino a quello esistenziale.
È un grande conforto sapere che esistano luoghi così, e una grande fortuna poter farne parte grazie all’esperienza di SCR.
Chiara M. – volontaria scr 2019-2020
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